L’ORDINAMENTO
NOBILIARE ITALIANO
MICHELE E.PUGLIA
Per una ulteriore
migliore comprensione di tutto quanto abbiamo detto in materia di
riconoscimento di uno stato nobiliare, poiché l’argomento suscita ancora
interesse (per una specie di legge del contrappasso in periodo repubblicano!) e
ancora vivaci dibattiti, abbiamo pensato di riassumere le principali
disposizioni del Regio Decreto del 1929 n. 61 col quale veniva codificato
(con oltre sessant'anni di ritardo, come nella norma
in Italia!) l'intera materia dello "stato nobiliare
italiano", che mentre stabiliva l'abrogazione di tutte le
norme vigenti nei vari Stati (italiani) prima dell'unificazione, dettava
disposizioni sulle nuove concessioni.
Chiariamo quindi - una
volta per tutte che - chi non aveva ottenuto un riconoscimento di
nuovi diritti o di diritti precedenti - con queste nuove
concessioni, non può avanzare né diritti né pretese di riconoscimenti
precedenti.
Questo r.d. disponeva un nuovo regime con
nuove “concessioni" che dovevano
essere sottoscritte direttamente dal re e controfirmate
dal capo del governo.
Erano state a questo scopo istituite apposite “commissioni
araldiche regionali” che dovevano esaminare tutte le varie situazioni,
e si stabiliva con chiarezza che "non
si riconoscono distinzioni nobiliari se non si possa giustificare la originaria
concessione, il modo legittimo di acquisto e la legittima devoluzione" .
Con le nuove concessioni venivano
riconosciute le varie situazioni pregresse di riconoscimenti fatti dall'impero austro-ungarico;
veniva inoltre codificato il titolo di don
e donna alle famiglie che ne avevano
avuto speciale concessione, alle famiglie ex feudali romane e alle famiglie
nobili lombarde che ebbero già riconosciuto il titolo all'epoca della
revisione operata da Maria Teresa.
Pertanto in base alle disposizioni del r.d.: la nobiltà legalmente riconosciuta era quella fatta per nuova concessione
sovrana che non poteva formare oggetto di disposizioni private per atto tra
vivi o di ultima volontà; la moglie doveva seguire lo stato nobiliare
del marito e lo manteneva durante lo stato vedovile .
Quanto alla nobiltà veneta il r.d. stabiliva che l'uso del "corno" spettava solo ai
discendenti in linea retta maschile dei patrizi veneti, dai dogi di Venezia, e
venivano, “mantenute ai patrizi veneti le
semplici qualifiche di “nobil uomo" e
di “nobil donna" (la
affermazione in articolo del riconoscimento del titolo comitale ai patrizi
veneti è da ritenere errata).
In ogni caso, se vi era
stata concessione del titolo in periodo austro-ungarico, o spagnolo nel
periodo di dominazione spagnola, questo avrebbe dovuto essere oggetto di nuova
concessione in base alla citata legge del 1929.
Ricordiamo ancora che con
Anche in questo caso chi aveva il predicato
lo aveva (o lo avrebbe) dovuto regolarizzare all'ufficio anagrafe.
Inoltre con R.D. n. 1990 del 1933 veniva approvato l'elenco ufficiale della nobiltà italiana,
con obbligo di iscrizione per chi ne avesse diritto entro il termine
perentorio di tre anni.
E’ impossibile quindi che chi avesse pretese
di stato nobiliare non abbia
provveduto ad iscriversi in quell’elenco (insomma chi
non è iscritto in quell’elenco non può avanzare
pretese di nobilità!).
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La legge, premettendo che i titoli, i
predicati, le qualifiche e gli stemmi nobiliari vengono
mantenuti a coloro che ne hanno diritto, dispone che essi si acquistano per
successione o per nuova concessione del re, precisando che: non possono essere
riconosciute distinzioni nobiliari che non si possano giustificare con
l’originaria concessione o in altro modo legittimo di acquisto e di legittima
devoluzione in favore di chi li rivendica.
Le distinzioni nobiliari non si estinguono
per mancato uso e non possono formare oggetto di disposizioni private per atti
tra vivi o di ultima volontà.
E’ possibile solo la cessione nel caso il titolare
disponga di più titoli e voglia cederne uno a un fratello maschio ultragenito, purché non sia il titolo principale o che dà
il nome alla famiglia. La moglie segue la condizione del marito e la conserva
durante lo stato vedovile
Quanto alla primogenitura: era stata fisssata dall’art. 54 con esclusione della trasmissione
femminile e linea femminile (essendo il diritto nobiliare maschilista) ndr.): i titoli concessi alle donne nubili si limitavano al
nubilato con la conseguenza che se la nubile si sposava esso cessava in quanto era statabilito che la donna segue la condizione del marito.
Il diritto di primogenitura nel parto
gemellare (contrariamete alla scienza medica che
considera primo concepito il secondo nato) veniva
considerato primogenito il primo nato.
Agli ultrageniti
era riconosciuta la sola nobiltà e il diritto di aggiungere il predicato al
cognome accompagnato dal segnacaso
“dei” (dei conti di, ecc.).
La successione femminile si poteva
verificare nel solo caso di estinzione della linea
maschile ottenendone però il
riconoscimento nella nuova famiglia, purché questo riconoscimento avesse
avuto luogo prima del 7.9.1926, con la conseguenza che prima di questa data il
marito poteva portare legalmente i titoli della moglie, conservanndoli
durante il matrimonio e usando il solo titolo senza il predicato, con cessazione di questo uso al momento
della morte della moglie, (cosa che si poteva verificare solo in periodo di
monarchia, quando vi era una stretta sorveglianza nell’uso deii
titoli! ndr.) non quindi
durante lo stato vedovile, in quanto il titolo passava al primogenito maschio o
alla primogenita femmina se non vi erano altri maschi, è purché la famiglia
fosse già iscritta nell’albo della nobiltà italiana,
Il titolo di patrizio o nobile di una città
spetta solo ai legittimi discendenti in linea maschile, iscritti all’epoca in
cui cessarono di avere vigore le antiche legislazioni, e non può formare
oggetto di nuove concessioni o di passaggio ad altra famiglia alla iscrizione sulla
nobiltà, (fatta eccezione per fratelli e sorelle di sommi pontefici, e per le
famiglie romane ex feudali di appoggiare il titolo al cognome anzicché al predicato.
Il possesso di un territorio feudale non dà
diritto né al titolo, né al predicato, ma il discendente dell’antico titolare avrebbe
potuto ottenere il predicato come parte del cognome.
I titoli del SRI (Sacro Romano Impero) conferiti
a famiglie italiane sono oggetto di riconoscimento nei limiti della
concessione. Per i titoli concessi da Napoleone I e
Gioacchino Murat per il regno di Napoli (che
come si sa, normalmente erano personali) si doveva dimostrare che la
concessione li riconoscesse trasmissibili .
Sono considerati italiani i titoli concessi da sovrani
italiani e stranieri che regnarono nelle varie parti d’Italia (art. 30) prima
dell’unificazione. Eventuali titoli stranieri, riconosciuti negli antichi stati
prima della unificazione possono ottenere il riconoscimento da parte del capo
del governo ai legittimi possessori.
Il titolo di conte palatino non si può
considerare né rinnovabile, né rtrasmissibile in
quanto personale.
Per i veneziani l’uso del corno ducale era stato riconosciuto ai
soli discendenti dai dogi, in linea retta maschile e nel caso di estinzione,
alla linea retta collaterale più prossima.
Il titolo di don e donna, veniva riconosciuto a) alle famiglie che ne avevano ottenuto
concessione; b) alle famiglie feudali romane insignite del titolo di principe,
duca, marchese c. d. di baldacchino; c) alle antiche
famiglie lombarde già riconosciute con la revisione operata dall’imperatrice Maria Teresa d)
alle famiglie sarde che avevano ottenuto il cavalierato e la nobiltà e ad altre
famiglie principesche e ducali che avevano ottenuto tale riconoscimento.
Ai patrizi veneti è mantenuto il titolo di nobil uomo
e nobil donna, quindi l’uso inflazionistico che
se ne fa in vita nella corrispondenza, o in morte negli annunci mortuari nel
meridione, è del tutto inappropriato!